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Lunedì 14 Novembre 2016
Crisi della ricerca biomedica: bisogna aumentare il finanziamento pubblico e monitorare l'impatto dei risultati

Lo scorso 9 novembre oltre 150 ricercatori, finanziatori pubblici e privati e rappresentanti di enti regolatori, istituzioni di ricerca, comitati etici, editori e associazioni di pazienti hanno partecipato alla Convention Nazionale GIMBE per condividere le raccomandazioni della campagna internazionale Lancet-REWARD - recentemente lanciata in Italia dalla Fondazione GIMBE - finalizzata ad ottenere il massimo ritorno in termini di salute dalle risorse investite nella ricerca biomedica. La sessione introduttiva è stata dedicata al finanziamento della ricerca biomedica in Italia: nel 2015, a fronte di € 1,5 miliardi investiti dall’industria farmaceutica, i finanziamenti pubblici ammontano a meno di € 500 milioni. In dettaglio, € 161,02 milioni destinati agli IRCCS per la ricerca corrente, € 50 milioni per la ricerca finalizzata (€ 135,39 nel bando 2016 che include due esercizi finanziari), € 24 milioni per la ricerca indipendente AIFA (€ 48,00 nel bando 2016 che include due esercizi finanziari), € 11,40 dalle Regioni per il cofinanziamento dei programmi di rete della ricerca finalizzata. A questi vanno aggiunti € 28,59 milioni del CNR destinati alla ricerca nel settore “scienze biomediche” e le risorse del Programma Ricerca 2015-2020 del MIUR che potrebbe raggiungere € 200 milioni. «Questi numeri – ha dichiarato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dimostrano che l’agenda della ricerca è inevitabilmente condizionata dalle priorità dell’industria farmaceutica, i cui obiettivi non sempre coincidono con quelli del servizio sanitario nazionale. Di conseguenza, molte aree rilevanti per l’assistenza sanitaria (ma di scarso interesse per l’industria) rimangono “orfane” di evidenze scientifiche, anche perché le già scarse risorse pubbliche sono prevalentemente dedicate alla ricerca di base». Giovanni Leonardi, Direttore generale della Ricerca e dell'Innovazione in Sanità del Ministero della Salute, ha sottolineato che «le Regioni sostengono di non poter destinare risorse del fondo sanitario alla ricerca perché questa non è un LEA: questo è formalmente vero, ma la ricerca è fondamentale perché fornisce le basi scientifiche per le decisioni cliniche e sanitarie. Tuttavia, se vogliamo ottenere maggiori finanziamenti della ricerca è indispensabile migliorare la rendicontazione pubblica dei risultati e l’impatto sul SSN». Dopo la lettura magistrale di Sir Iain Chalmers sulla campagna Lancet-REWARD, tre sessioni interattive hanno affrontato le problematiche che generano le 5 categorie di sprechi nella ricerca biomedica: attraverso una survey con televoter, i partecipanti hanno attribuito uno score di priorità alle raccomandazioni REWARD che la professoressa Maria Paola Landini - neo Direttore Scientifico dell’Istituto Ortopedico Rizzoli - ha di chiarato di volere «introdurre nel piano strategico dell’IRCCS per aumentare la qualità della produzione scientifica». Dal confronto con i discussant sono emerse numerose criticità  che contribuiscono a generare l’inaccettabile paradosso italiano: nel 2015 abbiamo destinato € 111 miliardi alla sanità pubblica e riservato meno di € 500 milioni alla ricerca biomedica, producendo limitate evidenze a supporto dei livelli essenziali di assistenza e contribuendo a rendere il SSN un “acquirente disinformato”. «In un contesto nazionale caratterizzato da un modesto finanziamento pubblico prevalentemente destinato alla ricerca di base – ha concluso Cartabellotta – è indispensabile una maggiore integrazione tra ricerca e sanità pubblica attraverso due azioni: destinare una “ragionevole percentuale” del Fondo Sanitario Nazionale alla ricerca comparativa indipendente sull’efficacia degli interventi sanitari (non solo farmaci!), al fine di produrre robuste evidenze per utilizzare al meglio il denaro pubblico; avviare un rigoroso monitoraggio dei progetti di ricerca finanziati per valutare il loro impatto sul SSN e sulla salute delle persone».

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